04 Gennaio 2025
ASSETTI NON ADEGUATI: QUALI RISCHI SI CORRONO
L’art. 375 del Codice della Crisi ha mutato la rubrica dell’art. 2086 c.c. (ora significativamente intitolato “Gestione dell’impresa”) e introdotto nello stesso un secondo comma, che recita: “L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”.
Grande attenzione è stata dedicata a tale innovazione dagli studiosi e dai professionisti che si occupano di diritto commerciale ed economia aziendale.
Stupisce, invece, che, nella prassi, si registri un sostanziale disinteresse nei confronti della stessa, disinteresse concretamente testimoniato dal fatto che le imprese non risultano essersi impegnate nelle necessarie attività finalizzate all’adempimento dell’obbligo di legge, pur vigente da oltre due anni.
Si possono indicare almeno tre motivi di un tale atteggiamento.
In primo luogo, è diffusa la convinzione che l’inadempienza non comporti rischi di conseguenze particolarmente gravi.
In secondo luogo, la modifica del codice civile, in quanto prevista dal “Codice della Crisi”, e la lettura del testo stesso del nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c. portano a pensare che l’obbligo sia, appunto, finalizzato ad affrontare potenziali momenti di difficoltà dell’impresa e che, conseguentemente, le attività economiche che in tali contingenze non versano non abbiano motivo di istituire “assetti adeguati”, poiché la redditività dell’impresa stessa sarebbe indice di efficienza degli assetti esistenti.
Non si può, infine, trascurare la diffusa opinione secondo la quale l’adeguamento degli assetti si presenta come compito difficile da affrontare, in quanto foriero di interventi sulle strutture aziendali, che comporterebbero complicazioni procedurali eccessive, tali da essere d’ostacolo all’operatività quotidiana. Tale ritenuta complessità dell’adeguamento spinge, poi, a considerare indispensabile il ricorso ad assistenza e consulenza esterne, che il mercato è pronto ad offrire, ma a costi ritenuti troppo elevati.
In breve, il rischio non varrebbe la candela.
Si tratta di convinzioni che, alla luce degli studi che si vanno compiendo e della giurisprudenza che si sta formando, devono essere segnalate come erronee.
Si ricordi in merito che il fatto che la compagine sociale sia formata da soggetti legati da solidi vincoli personali (e, come tali, poco propensi a contestare l’attività degli amministratori che hanno nominato) non esclude che la denuncia al Tribunale possa essere presentata anche dal collegio sindacale, dal consiglio di sorveglianza o dal comitato per il controllo sulla gestione (in tutta la trattazione si trascurerà, ovviamente, la disciplina delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).
Né si dica che gli amministratori potranno invocare la regola che prevede che il giudice non può sindacare il merito delle scelte gestorie; si potrà, in verità, discutere della ragionevolezza delle misure adottate (ma solo se, per l’appunto, adottate), ma è da escludersi che ciò si possa fare in relazione alla scelta di non istituire del tutto gli assetti (che costituisce manifestazione di mancata diligenza nell’esercizio della funzione gestoria).
Anche in relazione a questa fattispecie, nelle società nelle quali gli amministratori sono espressione unanime della compagine sociale (specie nei casi di società a ristretta base personale in cui di fatto la qualità di socio e la funzione di amministratore sono ricoperte dai medesimi individui) il rischio si potrebbe dire remoto.
Si consideri, però, che, se la mancata istituzione degli assetti adeguati ha avuto come effettiva conseguenza l’incapacità di prevenire la crisi di impresa, è pronosticabile che l’omissione divenga uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare.
Si rifletta, poi, che, qualora il mancato adempimento del dovere da parte degli amministratori determini il mancato controllo sulla capacità dell’impresa di agire nella prospettiva della continuità aziendale e il susseguente palesarsi della impossibilità economica di far fronte alle obbligazioni assunte, si apre la strada al possibile esercizio dell’azione di responsabilità promossa dai creditori (ormai prevista anche per le società a responsabilità limitata).
Ne discende che il socio amministratore corre il rischio di perdere di fatto il privilegio della separazione di responsabilità, rimanendo esposto personalmente ad iniziative di aggressione di tutto il suo patrimonio personale in seguito ad una condanna al risarcimento del danno provocato. La società si risparmia, allora, un costo, ma i gestori rischiano di tasca propria.
Ciò pone l’amministratore eventualmente inadempiente di fronte ad una scelta fra due alternative, entrambe portatrici di conseguenze sfavorevoli.
O inserisce nei documenti di bilancio un’informazione falsa o inesatta e commette un reato o non inserisce negli stessi la prescritta comunicazione e viola l’art. 2423 c.c. (assumendosi la responsabilità della violazione di un preciso dovere gestorio).
Si deve sinteticamente ricordare che l’imprenditore, come, invero, ogni contraente, è tenuto ad adempiere agli obblighi di protezione della controparte contrattuale; per di più, sull’imprenditore grava l’obbligo di diligenza qualificata, in forza della sua vantata professionalità.
Ne deriva che il creditore della prestazione che ha come debitrice l’impresa ha il potere, strumentale rispetto alla finalità di ottenere un adempimento corretto, di verificare, chiedendo, se del caso, informazioni all’impresa stessa, se e in quale misura l'imprenditore-debitore abbia dotato la sua impresa di una struttura adeguata a garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte e a prevenirne l’inadempimento.
Se, poi, lo stesso accertasse, anche in proprio, la carente o mancata istituzione di assetti adeguati, avrebbe a sua disposizione tutta una serie di rimedi, che qui si possono, per sintesi, solo elencare; egli potrebbe:
Infatti, in conformità alle Linee guida emanate dalla European Bank Authority, dal corrente anno le banche dovranno analizzare la struttura organizzativa, il modello di business e la strategia aziendale del cliente, anche nell’ottica della futura capacità dello stesso di adempiere alle obbligazioni assunte, e, dunque, appunto, nel caso italiano, verificare l’istituzione degli assetti adeguati.
E se è vero che, in prima attuazione, il nuovo più approfondito esame riguarderà precipuamente le future richieste di strumenti di finanziamento, non si può ignorare la raccomandazione, sempre proveniente dall’EBA, di aggiornare e adeguare le proprie infrastrutture e modelli di monitoraggio dei prestiti anche in relazione ai rapporti in essere.
È prevedibile che gli istituti di credito si atterranno rigorosamente a tali direttive, considerato che recenti indirizzi giurisprudenziali negano tutela in sede concorsuale (con la mancata ammissione del credito al passivo) ai creditori bancari che dimostrino di non aver effettuato una valutazione ex ante e prospettica della situazione aziendale in sede di erogazione del finanziamento.
L’istituto bancario, poi, può essere condannato per danni in solido con l’amministratore per l’abusiva concessione del credito (del che gli amministratori rispondono anche in sede penale).
La scelta del legislatore è stata chiara, allorché ha deciso che la norma fosse inclusa nel Codice Civile e, più in particolare, nella Sezione I (“Dell’imprenditore”), del Capo I (non a caso, “Dell’impresa in generale”), facenti parte del Titolo II (“Del lavoro nell’impresa”) del Libro V del Codice; ciò impone di annoverarlo ormai nei principi fondamentali che devono informare tutta l’attività imprenditoriale.
Inoltre, a ben vedere, l’art. 2086 c. 2 c.c. si pone come integrazione e esplicitazione dell’art. 2082 c.c., rendendo chiaro che l’organizzazione è una caratteristica genetica dell’impresa.
Se ciò non bastasse, va ricordata la chiara presa di posizione della giurisprudenza, che, chiamata a pronunciarsi sul punto ha affermato che la mancata adozione di adeguati assetti da parte di una impresa che non manifesti una situazione di equilibrio economico e finanziario è omissione altrettanto grave (se non più) rispetto a quella perpetrata da chi versi in stato di precrisi. Gli adeguati assetti, infatti, sono funzionali proprio ad evitare che la impresa scivoli inconsapevolmente versa una situazione di crisi o di perdita della continuità consentendo all'organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali che preannunciano la crisi consentendogli in tal modo di assumere le iniziative opportune.
Del resto, una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità della adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo, invece la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per fronteggiarla.
In altri termini la violazione della obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative contabili amministrative.
Del resto, ben difficilmente si potrà contestare che, nella prassi, senza una preventiva corretta istituzione di assetti adeguati, l’imprenditore potrà cogliere gli indizi di precrisi, di cui al quarto comma dell’art. 3 D. Lgs. 14/2019.
Si deve, però, osservare che, anche al di là delle evidenze che si trarrebbero da una attenta analisi “costi/benefici” (considerati i rischi di cui si è detto), la ritrosia ad affrontare la problematica è giustificata solo se si ha come riferimento il costo dei servizi che sono abitualmente offerti dai soggetti che si possono individuare tramite una richiesta sul web.
Questi ultimi, però, rivolgendosi alla totalità delle imprese, offrono prestazioni pensate, per lo più, per soddisfare grandi imprese e finiscono per dare poco rilievo al fatto che la legge obbliga all’assunzione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato “alla natura e alle dimensioni dell'impresa”.
Il ricorso del legislatore ad una nozione elastica come “adeguatezza” impone, al contrario, una considerazione caso per caso, che parta da una valutazione individualizzata della singola realtà imprenditoriale.
Chiunque, infatti, abbia un minimo di conoscenza e della normativa di diritto commerciale e con la realtà imprenditoriale italiana sa che a caratterizzare una società non è quasi mai il tipo societario prescelto: vi sono spa con minore fatturato e, conseguentemente, minore struttura organizzativa di alcune s.r.l. ed alcune s.r.l. che sono sopravanzate sotto tali profili da società personali (anche se il caso è meno frequente); anche la tipologia del prodotto e/o del servizio offerto comporta rilevanti differenze strutturali e organizzative.
Non si possono, allora, neppure adottare strategie di programmazione di instaurazione di assetti adeguati elaborate solo scalando il numero e l’importanza degli accorgimenti da adottarsi sulla base di una gerarchia formale dei tipi sociali contemplati dalla legislazione.
La sfida che, dunque, oggi si propone è quella di fornire un servizio che risponda alle peculiari esigenze della singola impresa e che contemperi il rispetto della norma e la sostenibilità degli investimenti richiesti.